sabato 31 maggio 2008

Caccia in Serchio

Nell’immediato dopo guerra fu possibile , per alcuni anni, praticare la caccia sul fiume Serchio nel tratto da Migliarino Pisano alla foce, tra le due riserve (oggi facenti parte del Parco Naturale della Toscana) di S. Rossore e Migliarino.
La caccia era consentita solo da natante ed era proibito scendere a terra su entrambi le rive; su quella di S. Rossore si diceva che c’erano ancora delle mine. Ed infatti era in atto la bonifica di tali ordigni
Per poter cacciare era quindi necessario avere una barca a disposizione, cosa assai difficile in quel periodo. Mio padre, vecchio cacciatore pisano, si ricordò che negli anni trenta un pescatore e cacciatore di Migliarino, tale Bobo, lo aveva una volta accompagnato col barchino da fiume fino a Bocca di Serchio, dove avevano approntato una tesa ai trampolieri. Andammo quindi in cerca del Bobo, anche se dopo le vicende belliche che avevano sconvolto tutta la zona, non eravamo certi di poterlo ritrovare. Invece a Migliarino tutti lo conoscevano. Abitava proprio sulla riva del fiume, subito a monte dei ponti di Aurelia e ferrovia con la sua barca attraccata davanti casa. Lo trovammo che zappava il suo orto. Pur avvicinandosi ai settant’anni, era un uomo ancora nel pieno delle sue forze. Riconobbe subito mio padre e si disse disponibile ad accompagnarci a caccia sul Serchio con la sua barca.
Cominciò così una serie di cacciate di una tipicità unica a selvaggina delle più svariate specie.
La prima volta fu nell’agosto del 1946. Io non avevo ancora il porto d’arme, che avrei avuto in ottobre al compimento dei sedici anni, e quindi dapprima ero solo spettatore, anche se il Bobo, spesso, mi consentiva di sparare col suo fucile.
Partivamo da Migliarino di buonora, il Bobo seduto a poppa che remava con una pagaia per procedere lentamente e senza far rumore. Mio padre ed io seduti affiancati sulla panchetta a mezza barca, pronti, con i fucili in mano. Costeggiavamo molto da vicino una delle due sponde, passando spesso sotto le fronde dei grandi alberi che sporgevano dalla riva. Era appunto da tali alberi che si involavano tortore e talvolta colombacci, che erano le prede più ambite. Oltre a tali uccelli era possibile sparare anche a qualche merlo o più raramente a qualche storno. Inoltre, ma assai raramente, poteva capitare di avvistare una coppia o un branchetto di becchi piatti (marzaiole o alzavole per lo più) posati in mezzo al fiume; veniva allora tentato l’avvicinamento, ma il più delle volte gli uccelli si involavano prima di essere a tiro. Nei mesi di ottobre e anche parte di novembre, prima che qualche piena ci impedisse la navigazione, le prede cambiavano, oltre ai soliti colombacci, potevano capitare dei tordi e, facendo tardi la sera, in alcuni punti era possibile fare l’aspetto alla beccaccia che traversava da una riva all’altra per recarsi alla pastura. Inoltre qualche volta accadeva, ma era assai raro, di sparare ad un fagiano che aveva deciso di traversare il Serchio davanti alla nostra barca al momento del nostro passaggio. Altre prede che ricordo erano le gallinelle d’acqua che talvolta partivano incautamente dalle cannelle della riva.
La navigazione procedeva per tutta la mattina per arrivare verso mezzogiorno quasi alla foce, dove, trovata una bell’ombra, sempre stando in barca consumavamo il desinare portatoci da casa e il Bobo si scolava , quasi da solo, un fiasco di vino. Dopo un riposino iniziava il ritorno, sempre spinti dalla pagaia ( i remi venivano usati solo nel caso di corrente sostenuta, ma in estate era ben difficile che ciò si verificasse) ripercorrevamo il fiume spostandoci da una riva all’altra, sempre con la speranza che qualche preda si involasse dagli alberi.
La cosa più bella era la solitudine completa e la natura tutta per noi. Una natura del tutto incontaminata, un fiume con le acque limpidissime dove potevamo talvolta vedere i pesci in trasparenza. Vicino alla foce c’era un squadra di pescatori professionisti che pescava i muggini con l’uso del giacchio. Operavano insieme: la squadra era composta da una decina di barche con ciascuna un rematore e, a prua, in piedi, il lanciatore del giacchio. Quando avvistavano un branco di muggini, cercavano di circondarlo e poi avveniva il lancio, in progressione, barca, dopo barca, con una sincronia che ai miei occhi aveva dello sbalorditivo. E che pescate! Ogni battuta erano parecchi chili di muggini!
Tale caccia durò pochi anni, anche perché altri si attrezzarono per praticarla e la tenuta presidenziale di San Rossore, vietò, per ragioni di sicurezza, il passaggio di gente armata lungo il suo confine. Anche la legge, in seguito, contribuì al divieto di cacciare fra le due riserve e il tutto rimase un ricordo. Un bel ricordo però, che posso rivivere anch’oggi scorrendo i diari di caccia che sia mio padre che il sottoscritto hanno sempre tenuto aggiornatissimi.
Paolo Caterini

Pubblicato su “Diana” anno 2000, n. 7, a pag. 92.

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