sabato 31 maggio 2008

Caccia agli acquatici in mare

La mia passione per la caccia è tanta, anche se ormai purtroppo tale sport in Italia si può considerare finito per vari motivi che qui non sto ad elencare, e la caccia che più mi affascina è quella agli acquatici. Ho iniziato a praticarla sin da giovanissimo, prima di avere la licenza, poiché accompagnavo mio padre alla botte che aveva nel padule di Vecchiano ai margini del lago di Massaciuccoli. Il fascino di un’alba in padule è indescrivibile e credo che mi rimarrà nella mente finché vivrò. Sono frequenti i miei sogni al riguardo.
All’inizio degli anni sessanta però tale caccia era praticamente divenuta una cosa rara a causa della superficie palustre sempre più ridotta e del crescente numero di cacciatori che nel nostro paese aumentavano a dismisura.
Si trattava quindi di trovare una valida alternativa che ci avrebbe consentito di seguitare a praticare la nostra passione. Parlo al plurale perché oltre a me il gruppo era formato da mio padre, già anziano, ma sempre valido, dai miei due fratelli e spesso da mio cugino.
Sapevamo e lo avevamo anche sperimentato, che sul mare, specialmente in marzo, si svolge un passo assai notevole di marzaiole e anche di altri anatidi: codoni, alzavole, mestoloni ecc. Alcuni cacciatori di Torre del Lago praticavano questo tipo di caccia nei giorni di mare calmo con vento di terra, mettendo le stampe in mare e avvalendosi di un patino per tendere e quindi recuperare eventuali prede. Con mio padre eravamo riusciti a farci accompagnare da uno di questi e sperimentare così questo tipo di caccia. I risultati erano discreti, ma ben presto la voce si diffuse e il tratto di spiaggia da Torre del Lago a Viareggio si riempì di capanni per tale caccia.
Pensammo allora di cambiare posto e di spostarci in una zona abbastanza lontana da centri abitati (le automobili allora erano ancora poche). La scelta cadde sulla costa della bassa Toscana e meglio ancora dell’alto Lazio nei pressi di Montalto di Castro.
Il nostro mezzo di trasporto era una FIAT Seicento, ed in quattro, partendo da Pisa verso le due di notte, arrivavamo a destinazione verso le sei.
A quel punto, arrivati sulla spiaggia del mare e se lo stesso era calmo, iniziava la preparazione della “tesa”. Per prima cosa, con due pale, scavavamo un buca a pochissima distanza dall’acqua che doveva contenere e nascondere i cacciatori (tre o quattro a seconda dei giorni); tale buca veniva poi mimetizzata dal lato mare con vegetazione dunale e quindi a portata di mano. Avevamo con noi un canotto gonfiabile di assai modeste dimensioni dotato di due remetti, che nel frattempo veniva gonfiato e approntato. Le stampe , un quarantina di plastica e con piombo legato ad un filo di circa due–tre metri, le lanciavamo in mare da terra e si collocavano automaticamente in posizione essendo dotate di chiglia. Quindi preparavamo le anatre vive da “lancio”; erano anatre domestiche abituate a mangiare anche in capanno, legavamo loro un filo di oltre due metri per un più facile recupero e le mettevamo pronte in una cesta dove avevano da mangiare e da bere.
A questo punto tutto era pronto; si trattava solo di attendere gli uccelli.
Quando un branco grosso o piccolo o un singolo uccello veniva avvistato ( la tempestività nell’avvistamento era essenziale e a tal scopo eravamo muniti di binocolo), attendevamo che fosse ad una distanza tale da poter vedere i nostri richiami, che lanciavamo uno per volta in volo. Le nostre anatre andavamo a posarsi nelle stampe. Se dopo un primo lancio i selvatici accennavano una guardatina, ma tendevano a proseguire, via col secondo lancio e a volte anche col terzo; se vedevano le stampe ed erano uccelli di passo e quindi creduloni, venivano alla “tesa” e a quel punto iniziava la sparatoria. Insomma avevamo ricreato, anche se in ambiente totalmente diverso, ma sempre affascinante perché un mare deserto e una spiaggia anch’essa deserta in giornate a volte splendide, sono sempre un grande spettacolo della natura, la caccia del padule che non potevamo più praticare.
La giornata di caccia finiva nelle prime ore del pomeriggio, perché poi dovevamo pensare a smontare tutto e fare ritorno a casa con la piccola utilitaria. Prendemmo in seguito l’abitudine di passare alcuni giorni, a metà marzo, a Montalto di Castro, che talvolta furono meravigliosi.
Purtroppo, come tutte le cose belle, anche questa finì. Durò quasi vent’anni dagli inizi anni sessanta agli inizi anni ottanta, ma le ultime volte era più la passione che ci faceva tornare, che non i risultati. Il forte incremento della motorizzazione aveva fatto sì che la nostra spiaggia non fosse più deserta e oltre a concorrenti cacciatori che ci avevano imitato, vennero frotte di pescatori e gitanti puri e semplici, che, con la loro presenza, impedivano ai branchi di migratori di avvicinarsi alla costa e rendevano il tutto sempre più difficile. In seguito anche la nuova legge sulla caccia ha proibito tale attività sul mare e quindi è tutto finito. Peccato!
Paolo Caterini


Pubblicato su “ Diana” anno 1999 n.24, a pag.16.























Caccia agli acquatici in riva al mare



La mia passione per la caccia è tanta, anche se ormai purtroppo tale sport in Italia si può considerare finito per vari motivi che qui non sto ad elencare, e la caccia che più mi affascina è quella agli acquatici. Ho iniziato a praticarla sin da giovanissimo, prima di avere la licenza, poiché accompagnavo mio padre alla botte che aveva nel padule di Vecchiano ai margini del lago di Massaciuccoli. Il fascino di un’alba in padule è indescrivibile e credo che mi rimarrà nella mente finché vivrò. Sono frequenti i miei sogni al riguardo.
All’inizio degli anni sessanta però tale caccia era praticamente divenuta una cosa rara a causa della superficie palustre sempre più ridotta e del crescente numero di cacciatori che nel nostro paese aumentavano a dismisura.
Si trattava quindi di trovare una valida alternativa che ci avrebbe consentito di seguitare a praticare la nostra passione. Parlo al plurale perché oltre a me il gruppo era formato da mio padre, già anziano, ma sempre valido, dai miei due fratelli e spesso da mio cugino.
Sapevamo e lo avevamo anche sperimentato, che sul mare, specialmente in marzo, si svolge un passo assai notevole di marzaiole e anche di altri anatidi: codoni, alzavole, mestoloni ecc. Alcuni cacciatori di Torre del Lago praticavano questo tipo di caccia nei giorni di mare calmo con vento di terra, mettendo le stampe in mare e avvalendosi di un patino per tendere e quindi recuperare eventuali prede. Con mio padre eravamo riusciti a farci accompagnare da uno di questi e sperimentare così questo tipo di caccia. I risultati erano discreti, ma ben presto la voce si diffuse e il tratto di spiaggia da Torre del Lago a Viareggio si riempì di capanni per tale caccia.
Pensammo allora di cambiare posto e di spostarci in una zona abbastanza lontana da centri abitati (le automobili allora erano ancora poche). La scelta cadde sulla costa della bassa Toscana e meglio ancora dell’alto Lazio nei pressi di Montalto di Castro.
Il nostro mezzo di trasporto era una FIAT Seicento, ed in quattro, partendo da Pisa verso le due di notte, arrivavamo a destinazione verso le sei.
A quel punto, arrivati sulla spiaggia del mare e se lo stesso era calmo, iniziava la preparazione della “tesa”. Per prima cosa, con due pale, scavavamo un buca a pochissima distanza dall’acqua che doveva contenere e nascondere i cacciatori (tre o quattro a seconda dei giorni); tale buca veniva poi mimetizzata dal lato mare con vegetazione dunale e quindi a portata di mano. Avevamo con noi un canotto gonfiabile di assai modeste dimensioni dotato di due remetti, che nel frattempo veniva gonfiato e approntato. Le stampe , un quarantina di plastica e con piombo legato ad un filo di circa due–tre metri, le lanciavamo in mare da terra e si collocavano automaticamente in posizione essendo dotate di chiglia. Quindi preparavamo le anatre vive da “lancio”; erano anatre domestiche abituate a mangiare anche in capanno, legavamo loro un filo di oltre due metri per un più facile recupero e le mettevamo pronte in una cesta dove avevano da mangiare e da bere.
A questo punto tutto era pronto; si trattava solo di attendere gli uccelli.
Quando un branco grosso o piccolo o un singolo uccello veniva avvistato ( la tempestività nell’avvistamento era essenziale e a tal scopo eravamo muniti di binocolo), attendevamo che fosse ad una distanza tale da poter vedere i nostri richiami, che lanciavamo uno per volta in volo. Le nostre anatre andavamo a posarsi nelle stampe. Se dopo un primo lancio i selvatici accennavano una guardatina, ma tendevano a proseguire, via col secondo lancio e a volte anche col terzo; se vedevano le stampe ed erano uccelli di passo e quindi creduloni, venivano alla “tesa” e a quel punto iniziava la sparatoria. Insomma avevamo ricreato, anche se in ambiente totalmente diverso, ma sempre affascinante perché un mare deserto e una spiaggia anch’essa deserta in giornate a volte splendide, sono sempre un grande spettacolo della natura, la caccia del padule che non potevamo più praticare.
La giornata di caccia finiva nelle prime ore del pomeriggio, perché poi dovevamo pensare a smontare tutto e fare ritorno a casa con la piccola utilitaria. Prendemmo in seguito l’abitudine di passare alcuni giorni, a metà marzo, a Montalto di Castro, che talvolta furono meravigliosi.
Purtroppo, come tutte le cose belle, anche questa finì. Durò quasi vent’anni dagli inizi anni sessanta agli inizi anni ottanta, ma le ultime volte era più la passione che ci faceva tornare, che non i risultati. Il forte incremento della motorizzazione aveva fatto sì che la nostra spiaggia non fosse più deserta e oltre a concorrenti cacciatori che ci avevano imitato, vennero frotte di pescatori e gitanti puri e semplici, che, con la loro presenza, impedivano ai branchi di migratori di avvicinarsi alla costa e rendevano il tutto sempre più difficile. In seguito anche la nuova legge sulla caccia ha proibito tale attività sul mare e quindi è tutto finito. Peccato!
Paolo Caterini


Pubblicato su “ Diana” anno 1999 n.24, a pag.16.

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